Da bambino ero convinto che il pianoforte fosse una magia: tasti bianchi e neri in fila, banali, quasi brutti, ma parlanti; ognuno una voce, nessuna uguale: più alta, più bassa, più leggera, più forte, più debole... ma insieme... l’una accanto all’altra, l’una pronta per l’altra: la diversità!
A me piace scrivere... una volta ho dedicato dei versi a un barbone.
Lo uccisero per rubargli un orologio che forse aveva rubato. Quella notte avevo freddo nel soffocante buio di agosto, mi tremava la penna nella mano... mi chiedevano di giudicare ma io avevo voglia di amare... ringraziai quel barbone per la sua pazienza e il suo silenzio... per le lacrime che mi aveva donato.
Chiunque può ritrovarsi barbone, anche per questo è giusto rispettarli. Solo una minoranza non ha voglia di lavorare o lo fa di proposito, la stragrande maggioranza ha alle spalle una grave malattia, un infortunio, la perdita del lavoro, il carcere, la droga, l’alcoolismo, la malattia mentale, un banale esaurimento nervoso, un grave lutto familiare, la fine di un amore... Bisogna considerarlo quando si evita con disgusto un uomo sdraiato su un cartone alla stazione o una donna che trascina bustoni di plastica in un giardino pubblico.
Mi stanno a cuore, i barboni! Come i pazzi, i deboli, gli indifesi, i gay, i “diversi”.