LA CULTURA
L'ATTIMO FUGGENTE
Genere: Drammatico
Nazione: USA 1989
Regia: Peter Weir
Cast: Robin Williams, Ethan Hawke, Norman Lloyd, Robert Sean Leonard, Josh Charles, Gale Hansen.
Soggetto: Tom Schulman
Sceneggiatura: Tom Schulman
Direttore della Fotografia: John Seale
Montaggio: William M. Anderson
Musiche: Maurice Jarre
Scenografia: John Anderson
Produzione: Steven Haft
Distribuzione: Touchstone Pictures
John Keating, insegnante di letteratura inglese, arriva nel 1959 alla Welton Academy dove regnano onore, disciplina, tradizione.
Questo professore inizia a sovvertire l'ordine di insegnamento tradizionale (nella sua prima lezione farà strappare delle pagine di un libro ritenute superflue) suscitando l'ovvio stupore degli studenti, fin troppo abituati ad un ambiente asfittico, e gli scetticismi degli insigni professori dell'accademia. Per Keating la cultura è una molla capace di cambiare il mondo, è l’essenza stessa dell’uomo. Pone interrogativi esistenziali, ma soprattutto insegna acogliere l'attimo delle cose, a non farci sfuggire niente nel continuo fluire delle contingenze. Tramite i versi di famose poesie invita a coltivare l'anticonformismo, a combattere l'ipocrisia, ad assecondare i propri sogni.
LA COSTITUZIONE COME AMICA
a cura di Michele Del Gaudio
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LA CULTURA​
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Gli incontri con studentesse e studenti riempiono le mie giornate: sono persone più autentiche e frizzanti di quelle adulte. Giro l’Italia per aiutarle/i a crescere, ma in realtà in questi decenni sono state/i loro a far crescere me.
Qualche mese fa sono stato a cena da una coppia di docenti, incontrati pochi giorni prima ad un convegno. Vi racconto:
“Rosetta l’ho conosciuta sui banchi di scuola. Io insegnavo e lei studiava. Ora è la madre dei miei figli!”
“Come andava in Italiano?”
“Ah, io le mettevo sempre quattro”.
“Per correttezza? essendo sbocciato il sentimento?”
“No, tanto valeva! E ancora adesso pensa più ad uscire che a leggere un buon libro. L’ultimo che le ho regalato, “Morte a Venezia”, giace intonso da mesi sul suo comodino. È irrecuperabile! Con “I sepolcri” mi faceva penare, non riuscivo a metterglieli nella zucca: da qua entravano e da là uscivano!”
Rosetta era una bella trentenne, simpatica e allegra: moderna! Offriva con mani affusolate mozzarella di bufala condita al prosciutto e vantava con dolce fermezza i sapori delle sue linguine ai frutti di mare.
Commisi l’errore di punzecchiare il non più giovane professore:
“Lei però ha un gusto un po’ lugubre: morte, sepolcri. Ha mai provato ad insegnare qualcosa di divertente? o in modo divertente?”
“Vuole insinuare che non sappia il mio mestiere? o che Thomas Mann e Ugo Foscolo siano degli imbecilli, magari anche Dante?”
“Assolutamente! È solo che non vorrei far credere a ragazze e ragazzi che la cultura, riflettere, pensare siano tristi. Lei preferisce una gita a un cimitero, per quanto monumentale, o andare al cinema a vedere Ficarra e Picone?”
“Magari non loro: sono troppo ridicoli; ma sicuramente opterei per un buon film, brioso!”
“Perché allora pretende che le/i giovani siano affascinate/i dal camposanto? o quanto meno apprezzino un sapere cupo, noioso?”
“La vera arte non può che essere espressione di emozioni dolorose. Solo la sofferenza consente di liberare l’ispirazione”.
“Lei esclude una cultura gioiosa? E poi cos’è cultura? Perché consideriamo poetici i versi di Leopardi e non quelli dei musical, che attirano tanto pubblico?”
“Ma non dica sciocchezze!”
“Rida, rida! Mi spieghi perché è musica quella di Bach e non quella di Fedez, per il quale le/i giovani vanno pazze/i: ai concerti di clavicembalo si contano sulle dita di una mano! Temo che vogliamo dare loro la nostra cultura non la loro!”
“Lei scribacchia - è una sua espressione vero? -, non ha mai studiato pedagogia e metodologia della didattica, ammette di non avere una grande erudizione: come fa a decretare cosa insegnare e cosa intendere per cultura?”
“Non vorrei essere frainteso, io non so un bel nulla. Provo a ragionare. Se a sedici anni avessi potuto scegliere fra un canto dell’inferno dantesco e una canzone di Lucio Battisti, non avrei avuto dubbi. ‘Emozioni’, per esempio, era vicina ai miei gusti, ansie, gioie; il conte Ugolino a dir poco mi costrinse al dizionario, mi portò in un mondo non mio: di lugubri tragedie, mentre pensavo alla bruna della sezione B”.
“Vuol forse affermare, signor poeta, che è meglio essere ignoranti?”
“No, semplicemente, signor professore, che certe volte basterebbe un po’ di buon senso!”
Carissime/i, mi affascina sempre di più l’idea di un “crescere insieme”, fondato su rispetto, dialogo, fiducia, ove nessuno abbia il primato del sapere e dell’esperienza ma tutte, tutti possano trasmettere qualcosa alle altre, agli altri, ove genitori, figlie e figli, docenti, alunne ed alunni, adulte, adulti, bambine e bambini insegnino e imparino reciprocamente.
Cultura dovrebbe significare: offrire strumenti e opportunità, non soluzioni, obiettivi, decisioni; non plasmare a propria immagine, imporre le proprie ambizioni, ma capire le vostre propensioni; essere una guida invisibile e neutrale, che aiuti l’acqua del fiume a scorrere nel suo letto senza deviarla.